

di Raimondo Meledina – Redazione Nazionale Panathlon Ozieri
C’è un cuore che batte forte anche dalla Sardegna nella favola calcistica della Taulantet, squadra interamente composta da ragazzi di origine albanese che ha compiuto una vera e propria impresa sportiva: la promozione in Prima Categoria Umbra.
A rendere ancora più speciale questo traguardo è la presenza in panchina di Mirko Loche, da 25 anni in Umbria, giornalista classe 77, originario di Dorgali (Nuoro), al suo primo anno da allenatore UEFA D. Con lui, nel ruolo di vice, la Sardegna ha dato un contributo decisivo a un progetto che parla di integrazione, passione e identità. “Sono un uomo venuto dal mare, come tanti di loro. Siamo simili più di quanto sembri”, racconta Loche. “Anche io sono arrivato in Umbria con una valigia piena di sogni, e in questo gruppo ho trovato fratellanza, orgoglio e identità”.
Fondata nel 2012 come progetto sociale per l’inclusione dei giovani albanesi in Umbria, la Taulantet prende il nome dall’antica tribù illirica dei Taulanti, simbolo di fierezza e resistenza. In pochi anni di militanza FIGC ha costruito una squadra capace di abbattere stereotipi e barriere, conquistando il cuore di oltre 200 tifosi a ogni partita.
Accanto all’esperto mister Roberto Gallastroni, allenatore toscano dal lungo passato nel professionismo, Loche ha portato umanità e leadership, diventando un punto di riferimento per i ragazzi. Il capitano Marjo Seiti lo definisce “un fratello maggiore, un matto che ci ha sempre creduto”. Per molti, più di un allenatore: un ponte tra mondi e culture.
“Quando mi hanno proposto questo incarico, ho pensato subito a Dritan – prosegue Loche – un caro amico albanese conosciuto all’università. Con lui condividevamo la parola ‘lealtà’, e ritrovare quei valori nello spogliatoio della Taulantet è stato naturale. In loro ho rivisto la mia stessa storia, solo con un passaporto diverso.”
In effetti il progetto della Taulantet dimostra che il calcio può essere molto più di uno sport: può essere una lingua comune, un atto di riscatto, un ponte tra culture. E conferma che dalla Sardegna all’Albania, passando per l’Umbria, c’è un filo invisibile che unisce chi viene dal mare, chi cerca una casa, e chi la costruisce ogni giorno nel rispetto reciproco.
Il legame tra Sardegna e Albania non è solo simbolico, ma affonda le radici anche nella leggenda. In Albania, nei pressi di Scutari, esiste ancora oggi un villaggio chiamato Ishulli i Sardës – l’isola dei Sardi – che sorge su un isolotto del fiume Drin.
Secondo la tradizione orale locale, in tempi antichissimi, un gruppo di Sardi sarebbe approdato lì durante le loro rotte mediterranee, lasciando tracce indelebili nella cultura e nel nome del luogo. Non è un caso isolato: alcuni storici ipotizzano che i Shardana, misterioso popolo del mare, abbiano avuto contatti o insediamenti lungo le coste illiriche, l’odierna Albania. Un’ipotesi affascinante che rende ancora più evocativo questo legame ritrovato.
Nel pallone che rotola sotto il sole umbro, c’è il battito di un’identità collettiva che non ha confini. E anche un pizzico di orgoglio barbaricino.
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