Il cicilista francese Thevenet riesce a battere Eddy Merckx, detto “il cannibale”, al Tour de France 1975. Per i francesi fu come una vera e propria presa della Bastiglia. Merckx combattè coraggiosamente ma arrivò 2°, dando una grande lezione di morale ed etica sportiva.
di Lorenzo Fabiano della Valdonega
La vittoria non è tutto
In un mondo che celebra i vincitori e relega all’angolo i perdenti, mi chiedo spesso che valore possa avere la sconfitta. Un vecchio refrain dice per imparare a vincere bisogna saper prima perdere. Vero. Tuttavia è altrettanto vero che per uno perennemente abituato a vincere, dev’essere molto difficile accettare di perdere. Per Enzo Ferrari, il secondo non era che il primo dei perdenti. Ho voluto raccontare questa storia, una lezione di vita prima che di sport, per dimostrare come per essere annoverati tra i grandi, la vittoria non sempre sia necessariamente una condizione imprescindibile.
Eddy Merckx il “cannibale”
Eddy Merckx vinse qualcosa come 525 corse. Nessuno mai come lui. Jacques Goddet, storico direttore del Tour de France, indicò Fausto Coppi come «il più grande» e Merckx come «il più forte» ciclista di ogni tempo. Al Tour de France del 1975 il fuoriclasse belga si presentava a caccia del record della sesta maglia gialla, deciso a superare la cinquina di Jacques Anquetil. Merckx non conosceva la sconfitta; onnivoro di vittorie fino all’ingordigia, gli avevano affibbiato il poco simpatico epiteto di «il Cannibale», definizione che mal digeriva. «Cos’è lo sport? Vincere» disse un giorno per spiegare la sua fame di successi, quasi dovesse giustificarsi di essere il più forte.
Moser suo grande rivale
Quell’anno aveva vinto la Sanremo (la sesta), l’Amstel Gold Race, il Fiandre e la Liegi. Mica robetta. Saltato il Giro d’Italia per un attacco di angina, aveva partecipato al Delfinato e al Giro della Svizzera per ritrovare il miglior colpo di pedale. La Grande Boucle partiva da casa sua in Belgio, con un prologo a cronometro a Charleroi. A rovinargli la festa fu un giovane italiano, Francesco Moser, che per potenza e temperamento un po’ gli somigliava. I due diedero vita a un duello durissimo per tutta la prima settimana. Merckx riconquistò la maglia gialla ma dovette spremersi.
Aggressione lungo il percorso
Aveva tutti contro. Sconfiggerlo era una vera presa della Bastiglia. I francesi che sognavano di spezzare la sua egemonia, trovarono in Bernard Thevenet l’uomo in grado di destituire l’odiato re. Merckx si sentiva accerchiato, ma combatté la sua battaglia da uomo leale. Sul Puy de Dome Thevenet lo attaccò, lui rispose ma a duecento metri dalla vetta un pazzo lungo la strada lo colpì al fegato con un pugno. Eddy avvertì il dolore ma resistette e limitò in qualche modo il passivo. Dopo il giorno di riposo a Nizza, Merckx pensò di risolvere la questione a suo modo sulle Alpi: sebbene imbottito di antidolorifici, se ne andò via sulla penultima salita e si fiondò giù in discesa dal Col d’Allos a velocità folle. Fece il vuoto e aveva le mani sul sesto Tour. C’era però un’ultima belva da domare, l’ascesa finale che portava all’arrivo di Pra Loup. E fu proprio lì su quelle rampe maledette di asfalto liquefatto dal caldo torrido, che il cannibale si fece agnello. Sacrificale.
Il sapore della sconfitta
Conobbe una crisi che mai aveva vissuto prima. Toccò e sentì l’odore della sconfitta, sino a quel giorno a lui sconosciuta. Le gambe gli si fecero improvvisamente di legno. Gl inseguitori lo presero e lo passarono con facilità irrisoria nell’incredulità. Thevenet gli sfilò quella maglia gialla che per tanti era stata sua, ma che non lo sarebbe mai più stata. Tra i francesi che celebravano la Presa della Bastiglia e la fine della tirannide, il Tour di Eddy Merckx si trasformò in un incubo. I nemici si fecero avvoltoi, lui perse ancora terreno, cadde e si fratturò una mascella. Ferito nell’intimo e nel fisico, non mollò. Giorgio Albani, suo storico direttore alla Molteni lo consigliava in tutti i modi di lasciare la corsa, la moglie Claudine gli chiedeva di tornare a casa a curarsi. Niente da fare, picche. Eddy onorò sé stesso, chi lo aveva battuto e la corsa che lo aveva reso il più forte di tutti. Resistette dando straordinaria prova di coraggio e forza.
Merckx 2° ma non il 1° degli sconfitti
Indomabile, provò fino all’ultimo a mettere in difficoltà Thevenet. A Parigi ci arrivò malconcio, secondo a quasi tre minuti dal francese che così riportò nel tripudio sciovinista la maglia gialla sotto l’Etoile. Il secondo per una volta non era il primo dei battuti, ma impartì una lezione di morale e di etica sportiva con pochi precedenti. Fu Achille che si fece Ettore. Eddy on aveva mai perso prima, ma quando toccò a lui lo fece con integrità e dignità monumentali. Quel Tour decreterà la fine di un’era chiamata Merckxismo. Nel paniere Merckx depositerà l’anno dopo la settima Sanremo, sarà quello il suo ultimo acuto fino all’addio alle corse nel 1978 a trentatré anni.
Una storia di vittorie
La sua è una storia di vittorie, e soprattutto per queste è ricordato. Riuscire ad elevare la sconfitta più dura che ne segnò l’inesorabile tramonto, all’alveo della grandezza è qualcosa che valeva la pena di raccontare. Soprattutto oggi, in un mondo che agli sconfitti non dedica tempo e attenzioni, ma spesso trova più comodo voltar loro le spalle.