“I Personaggi della Letteratura Sportiva“
di Federica Zaniboni/Redazione Gianni Brera
La scrittura è un istinto, lo sport una passione. E in questo mix di inclinazioni perfettamente dosate, la professione giornalistica appare all’improvviso come l’effetto più ovvio e naturale. Con la lettura come punto di partenza – «per scrivere bene bisogna leggere molto» dice –, Furio Zara si avvicina ai grandi maestri della letteratura sportiva, i cui insegnamenti si rivelano fondamentali nel corso di tutta la sua esperienza lavorativa.
«Da ragazzino ho il sogno di diventare calciatore, ma sono una mezza sega» racconta divertito il giornalista padovano, 49 anni. «Così all’università seguo l’altro mio grande amore, quello per la lettura: mi iscrivo alla facoltà di lettere e filosofia e mi laureo in storia del cinema». La carriera accademica sembra essere la strada giusta per Zara, e mentre fa la gavetta come assistente all’ateneo di Padova, porta avanti diverse collaborazioni con alcuni quotidiani locali. «In quegli anni Adalberto Scemma mi insegna un mestiere: i tempi, i modi, le piccole astuzie… Mi insegna a ragionare». Ed è proprio allora che la sua vita si stravolge. «Un giorno mi chiama Mario Sconcerti, all’epoca direttore del “Corriere dello Sport”: dice che gli piace come scrivo e vuole assumermi. Non ci penso due volte, mollo tutto e mi trasferisco a Roma per seguire la mia più grande passione: raccontare lo sport in un certo modo». Un lavoro, quello dell’inviato, che nel contempo gli permette anche di girare il mondo seguendo Champions, Mondiali e Olimpiadi. «Rimango lì per 17 anni, faccio quello che amo e mi diverto moltissimo. Una volta mi capita di rimanere chiuso dentro allo stadio di Bahia in Brasile» racconta Zara con una risata. «Da sempre ho l’abitudine di fermarmi sulle tribune a scrivere, a fine partita, ma quel giorno vengo lasciato lì e se ne vanno tutti. Alla fine, per fortuna, mi liberano».
Il percorso di Zara, poi, incontra una svolta tre anni fa, quando viene chiamato a lavorare in Rai come autore e opinionista, e decide così di lasciare il quotidiano. «Mi ritengo molto fortunato, perché durante la mia carriera posso sperimentare – e sperimentarmi – in territori diversi, dalla carta stampata al racconto radiofonico, fino all’ideazione di un programma televisivo». Tutto questo mantenendo sempre saldo l’obiettivo di raccontare lo sport attraverso una prospettiva particolare: l’importante, per Furio Zara, è utilizzare la narrazione come strumento per far sognare le persone. «A lungo la letteratura sportiva è stata considerata un po’ di bancarella» spiega, «ma per me non esiste quella distinzione tra cultura alta e cultura bassa». Una delle figure che più lo ispira è quella di Osvaldo Soriano, scrittore e giornalista argentino vissuto nella seconda metà del Novecento. «Lui ha dimostrato che si poteva raccontare lo sport come si può raccontare qualsiasi altra cosa, e ha portato questo tipo di letteratura a un altro livello». E poi, senz’altro fondamentale, è stato Gianni Mura che, come ricorda Zara, «nei confronti dello sport sapeva essere generoso e affettuoso: non si limitava mai al campo da gioco, i lettori venivano portati ben più in profondità». L’abilità di «raccontare senza giudicare», inoltre, è uno dei maggiori insegnamenti ricevuti dal giornalista che è scomparso lo scorso marzo.
Il nome di Gianni Mura, tra l’altro, compare anche nella prefazione del primo libro di Furio Zara, Bidoni – uscito nel 2006 –, che racconta dei cento calciatori stranieri più scarsi che hanno giocato in Italia. «Ma uno dei volumi a cui sono più legato è il penultimo che ho scritto, L’ultima curva, dedicato ad Ayrton Senna. In occasione dei 25 anni dalla morte ho voluto raccontare il suo personaggio».
Tra le pubblicazioni del giornalista padovano, poi, spicca Le nostre notti magiche, uscita quest’anno. «Racconto in chiave pop i Mondiali del ’90, non soffermandomi soltanto all’aspetto calcistico, ma descrivendo anche tutto quello che accadeva in Italia all’epoca» spiega. «E per farlo mi sono servito del punto di vista dei corpi. Quello di Baggio, ad esempio, che allora era un idolo. O quello di Moana Pozzi che, raccontando quei Mondiali, aveva fatto anche un film hard». Una prospettiva insolita, dunque, ma senz’altro efficace.
La carta stampata rimane, secondo Zara, il mezzo di comunicazione più adatto a trasmettere un certo tipo di narrazione. «Radio, tv, scrittura e social media sono quattro canali diversi, quattro tunnel: immaginiamo che alla fine ci sia lo sport. Come scegliamo di percorrerla questa galleria?» si domanda. «Con i social si va sparati a mille, bisogna fare in fretta ed essere abbastanza incisivi da venir ricordati. Il rischio è quello di fare errori ai quali non si può più rimediare. Con la radio ciò che conta di più è la voce, e con la tv si aggiunge anche l’immagine. Ma la carta stampata ha qualcosa di unico» spiega. «Quando si legge non si può fare altro che quello. Il punto di partenza è la volontà: ci si deve prendere del tempo apposta e decidere che in quel momento ci si dedicherà soltanto alla lettura». E poi, come tiene a sottolineare il giornalista, «la carta ha una profondità unica», caratteristica che manca completamente ai social, i quali mantengono sempre una certa superficialità. «Basti pensare anche semplicemente al gesto» dice Zara. «Quando scrolliamo le notifiche su Facebook o Twitter sullo smartphone, il dito compie un movimento leggerissimo, come se fossimo sul filo dell’acqua. La lettura, invece, permette di scoprire tutte le meraviglie che si trovano sotto».