Di Romano Mattè – Redazione Panathlon Gianni Brera Università di Verona
Che il calcio sia profondamente cambiato negli ultimi cinque anni è sotto gli occhi di tutti. Si è velocizzato, verticalizzato, fisicizzato, essenzializzato in modo impressionante! Ed è la velocità, intesa in senso lato, il dato più significativo del grande cambiamento non tanto legato alla velocità “di gambe”, al correre più dell’avversario, quanto alla velocità di lettura situazionale (o anticipazione motoria), alla velocità di pensiero e alla “velocità tecnica” (o di trasmissione di palla), quest’ultima cresciuta mediamente in tutte le squadre grazie alla tattica del possesso palla, ora tuttavia in declino.
Le società tutte hanno capito che il business sta nel produrre un calcio più spettacolare, più intenso, più ricco di gol, più divertente, più accattivante e quindi più spendibile e appetibile sulla piattaforma mediatica mondiale dove ballano miliardi di euro, una larga fetta dei quali viene inghiottita dalla Premier League mentre la Serie A è passata al quinto posto scavalcata anche dalla Francia. Il prodotto calcio italiano è meno bello, meno spettacolare di quello di altri paesi, più sparagnino e quindi meno spendibile: punta al risultato (filosofia tattica dei cosiddetti “risultatisti” che hanno in Allegri e Conte i due più importanti testimonial) spesso pilotato a differenza della Premier dove si gioca sempre per vincere con un dispendio psico-energetico maggiore cui il calcio della Serie A non è ancora abituato per cultura e consuetudine.
Quello inglese è il campionato più ricco del mondo, quello che attrae quindi i migliori giocatori dando alla Premier la più straordinaria qualità atletico-tecnica che si possa avere al mondo. Colpisce e affascina la velocità con cui in Premier ci si muove e si fa girare palla: il controllo di palla a qualsiasi velocità la sfera arrivi è il vero segreto. Nel calcio inglese si mescolano magicamente velocità e tecnica adeguata, intensità e spettacolari, ripetute, fulminee accelerazioni con una grande capacità di resistere alle accelerazioni. Un esempio eclatante, direi plastico, di questa diversità del calcio inglese è relativo a un match in cui il Liverpool di Klopp ha steso il City con due reti, sulle tre totali, realizzate attraversando il campo da una parte all’altra rispettivamente in sette e in dieci secondi con tocchi in verticale tutti di prima: sembrava di assistere a una staffetta 4×100 con il pallone come testimone.
Pochi hanno sottolineato un dato molto significativo: negli ultimi anni la classifica dei marcatori della nostra Serie A viene vinta solo da giocatori che militano nelle grandi squadre che puntano decisamente allo scudetto o alle Coppe europee mentre prima accadeva il contrario (vedi Dio Natale e Toni per citarne alcuni). Questa è la vera trasformazione che si è prodotta nel nostro calcio e in quello globale: se lo spettacolo è dato soprattutto dal gol allora è necessario mettere gli attaccanti il più rapidamente possibile nelle condizioni più favorevoli per battere a rete; di qui la necessità di velocizzare, verticalizzare ed essenzializzare la fase offensiva. Sono sparite le combinazioni “ a 3”, si lavora su quelle “a 2”, sulle imbucate, sui tagli corti a uscire e sui tagli lunghi a chiudere dall’esterno all’interno, sulle battute a rete dalla distanza medio-lunga, azzannando le seconde palle o sfruttando le palle domate dagli attaccanti e rifinite a ritroso per le seconde linee le cui reti sono diventate sempre più decisive, così come la cura sempre più attenta e maniacale alle situazioni di palla inattiva (calci d’angolo e piazzati vari). Queste ultime richiedono addirittura un preparatore specifico che curi pure i più piccoli dettagli, sovente decisivi e letali.
Si parla tanto, e spesso a sproposito, dell’impiego di un’alta intensità senza sapere che cosa essa sia e da cosa sia determinata. E’ stata la scuola veronese (prof. Walter Bragagnolo) a definirla: l’intensità è la magica coazione di tre momenti: velocità di gambe (condizione fisico-atletica), velocità di lettura situazionale e velocità di trasmissione palla (tecnica). Quando questi tre momenti coagiscono in modo armonico, abbiamo il top dell’intensità; quando viceversa uno di questi declina abbiamo un calo complessivo dell’intensità. Nel tempo (prossimi cinque anni) si ipotizza che l’intensità crescerà a dismisura per cui il calcio non sarà più giocato da soli atleti ma da super-atleti e non basterà più allenarsi solo sul campo. Ogni calciatore, sul modello del professionismo americano, avrà un suo personale preparatore atletico per cui sul campo verranno curate solo tecnica e tattica. Le recenti ricerche ci dicono anche che un’attenta e rigorosa alimentazione, il sonno, il recupero e la motivazione consentiranno di migliorare in maniera sensibile le prestazioni.
Sul piano strettamente tattico siamo di fronte a due innovazioni: la prima riguarda la scelta di difendersi in parità numerica, la seconda l’evoluzione del ruolo del portiere difesa. In passato la superiorità veniva consigliata a prescindere, ora questo principio è venuto meno grazie al pressing alto e alla marcatura preventiva in un calcio divenuto nelle intenzioni più offensivo. Gasperini ha effettuato per primo, nella nostra Serie A, una nobile e intelligente mediazione tra due filosofie tattiche (difensive) apparentemente antitetiche: il gioco a zona e la marcatura a uomo. L’Atalanta si difende “di squadra” (è la posizione della palla a dettare i movimenti sino ai 25-30 metri della propria porta) ma pressando alta marca “uomo a uomo”, a “coppie fisse” a tutto campo. La pressione è soprattutto fisica, intelligentemente e lealmente feroce. Tutto questo richiede naturalmente un grande dispendio psico-energetico e non di rado l’Atalanta si spegne arrendendosi non tanto all’avversario ma soltanto al proprio sfinimento, spegnendosi di sé medesima.
La seconda innovazione ha toccato sul piano tecnico-tattico, accelerandone l’evoluzione, il ruolo del portiere grazie alla nuova norma secondo la quale nessun giocatore avversario può entrare in area fino al tocco dell’estremo difensore (lo stesso avviene su una punizione per fallo su un difensore in area con palla battuta dal portiere) e solo un difensore può ricevere in area e cominciare l’azione. Tutto questo per favorire le squadre più tecniche e quelle tatticamente più organizzate e votate all’offensiva. Il portiere quindi deve avere non solo piedi buoni ma anche intelligenza tattica e rapidità di lettura situazionale (costruzione lunga a scavalcare il centrocampo o scarico corto per la costruzione da dietro). L’obiettivo è quello di creare superiorità numerica (temporanea) nella fase più cruciale, quella dell’avvio della fase offensiva. Se il portiere non pressato esce dall’area palla al piede costringe gli avversari a fare una scelta tattica: se lo si lascia giocare, il portiere può impostare l’azione e cercare un compagno libero; se invece un avversario si alza e mette pressione, inevitabilmente si libera un giocatore di movimento creando così superiorità numerica temporanea (siamo nell’ordine di nanosecondi) al via della fase offensiva.
Uscendo dall’area palla al piede mentre un difensore lo copre alle spalle, il portiere diviene in quel momento un play a tutti gli effetti e può giocare palla sul lungo saltando il centrocampo e mettendo i propri attaccanti all’uno contro uno con i difensori avversari o sul corto dando palla i due esterni bassi, dove gli spazi sono di solito più agibili. Le giocate palla al piede dal portiere sono aumentate del 50-60 per cento. Questa è la nuova frontiera dell’evoluzione tecnico-tattica in atto in un ruolo fondamentale. Basti pensare che Gregor Kobel, il portiere svizzero del Borussia, in Bundeliga, risulta al quattordicesimo posto nella classifica dei passaggi filtranti completati precedendo parecchi giocatori delegati specificamente a queste giocate.
Osservando l’ultima finale di Champions vinta dal Chelsea contro il City di Guardiola dato per superfavorito e trafitto in puro e nobile contropiede, rilevo che gli uomini di Tuchel portano pochi dribbling, considerati la scintilla creativa della fase offensiva, ed effettuano solo quelli strettamente necessari negli ultimi 25-30 metri per liberarsi al tiro o al cross. Il Chelsea ha superato gli avversari con la velocità del passaggio, con rapide e secche triangolazioni palla rigorosamente a terra, con l’anticipo e un mirato e puntuale posizionamento. Vi è nel suo gioco una rapidità verticalizzata intelligentemente esasperata supportata da una tecnica adeguata e posturalmente corretta per eseguire un controllo “a seguire” che brucia i tempi di pressone avversaria. Non c’è tratta di tutte quelle tattiche di cui noi discutiamo: non c’è traccia di possesso palla, di gioco posizionale, di costruzione lunga (vedi Juric e Tudor nell’Hellas) o dal basso (vedi Gasperini)., non ci sono fantasisti, prime o seconde punte. Non c’è traccia di chi inventa gioco perché l’invenzione presuppone pensiero, pensare richiede tempo e prendere tempo significa essere un tantino più lenti e quindi più prevedibili. Questo è un calcio in cui lo spettacolo è dato essenzialmente da un agonismo parossisticamente e rudemente verticalizzato, per certi aspetti nuovo ma a mio parere meccanico, freddo, troppo tecnologico e sempre meno romantico. Un calcio quindi che rifugge dalla fantasia e dal sogno, mentre l’uomo accarezza, abbraccia, ama il sogno che nutre e rendere meno amara a nostra vita.
Come si può osservare tutto muta e si evolve nella vita così come nel calcio, che è la proiezione ludica di un mondo sempre meno romantico e più freddamente tecnologico, digitalizzato, informatizzato. Il calcio di Tuchel (per la prima volta in assoluto ha vinto la Champions una squadra con la difesa a tre!) è forse il modello anticipatorio, piaccia o non piaccia, del calcio del futuro prossimo? Lascio senza risposta questo intrigante interrogativo.
N.B: Una riflessione tattica sul dribbling all’uno contro uno. Chi va all’uno contro uno deve saltare almeno un avversario e non ha la scelta dello spazio mentre chi arriva da dietro può scegliere sia lo spazio che il tempo; inoltre chi affonda da dietro a rimorchio delle prime linee ha il vantaggio di essere difficilmente controllabile all’origine