di Sara Perin
Il lockdown mondiale ormai prosegue da settimane, milioni di persone si trovano rinchiuse nelle mura domestiche, costretti a convivere con la paura del virus e le continue news sul numero di malati: c’è chi si fa prendere dal panico, chi dallo sconforto e chi cerca di creare una nuova routine il più possibile normale.. tra i passatempi più frequenti ci sono i fornelli, soprattutto tra le donne, il giardinaggio, i videogiochi e soprattutto la tv.
Anche il grande sport ha dovuto creare una nuova routine, perché non ci sono partite in diretta da trasmettere, interviste post-partita o eventi da commentare, ma solo campioni e imprese del passato da celebrare con un bel po di nostalgia. E’ in quest’ottica che ESPN, supportato da Netflix nel resto del mondo, ha cavalcato l’onda dei ricordi e ha lanciato la docu-serie “The last dance”, un viaggio di 10 episodi in cui viene raccontato il grande basket di fine secolo, quello rappresentato dai Chicago Bulls e dall’immenso Micheal Jordan nella rincorsa al sesto titolo di campioni dell’NBA.
Riportiamo alla memoria questo pezzo di storia: nella stagione ’90-’91 i Chicago Bulls, capitanati da MJ, vinsero il primo titolo, che venne poi replicato nelle due stagioni successive conquistando il three-peat, cosa che non accadeva dagli anni sessanta con i leggendari Celtics. Nei due anni successivi Jordan si dedicò al baseball mentre la squadra venne portata avanti da Scottie Pippen, grande giocatore che mantenne i Bulls in una posizione rispettabile all’interno del campionato, ma il capolavoro avvenne solamente dopo il ritorno di Jordan, che portò i Chicago Bulls a raggiungere un nuovo three-peat vincendo il campionato nel ’96, nel ’97 e nell’ultimo ballo (definito così dallo stesso MJ) del ’98, anno in cui si ritirò.
Micheal Jordan è stato definito il più grande atleta nord-americano del XX secolo e infatti, come ricordò anche il presidente Obama, per celebrare qualsiasi atleta si usa dire “è il Micheal Jordan del suo sport”: MJ non è passato alla storia solo per i 10 titoli di miglior marcatore, per il suo tiro a 5,2 secondi dalla fine della sesta gara in finale (tiro rimasto noto come ‘The shot’), che consegnò ai Bulls il trofeo per la sesta volta, o per la linea di Air Jordan, ma è diventato un simbolo della pallacanestro internazionale per il suo carattere e per il modo di giocare, facendo sognare migliaia di tifosi da 30 anni.
In “The last dance” si rivive la stagione ’97-’98 grazie a riprese mai viste, che entrano negli spogliatoi e ci fanno vedere i protagonisti sotto una luce diversa, permettendoci di capire più a fondo le dinamiche di una squadra di alto livello nella sua scalata verso il sesto titolo di campione NBA. Non viene delineata solo la personalità di Micheal Jordan, che sicuramente rimane il protagonista, ma si conoscono anche i compagni, da Pippen a Rodman, il coach Phil Jackson e la controversa figura del general manager Jerry Krause, immergendosi nelle dinamiche dell’ NBA di fine secolo.
La docu-serie diretta da Jason Hehir è stata lanciata il 20 aprile su ESPN negli Stati Uniti ed è disponibile su Netflix, in cui usciranno 2 episodi ogni lunedì per un totale di 10, con il gran finale programmato per il 18 maggio. Micheal Jordan ha riferito che lui non riceverà denaro per il documentario, ma i proventi (stimati attorno ai 4 milioni di dollari) andranno in beneficenza.
Per la prima tv americana sono stati registrati dati entusiasmanti, raggiungendo 6,1 milioni di spettatori e guadagnandosi il record su ESPN per un documentario; anche le testate giornalistiche a stelle e strisce lo hanno celebrato, come ad esempio il The Guardian che ha titolato “il desiderio furioso di Micheal Jordan di conquistare tutto brucia ancora decenni dopo”, o il New York Times “in The last dance, Michela Jordan e i Bulls ancora dominano.” Anche i vecchi compagni di Jordan hanno guardato con nostalgia i primi episodi, commentando poi su Twitter: Magic Johnson ha richiamato all’attenzione i fans più giovani, dicendo loro che ora possono davvero capire perché Jordan fosse considerato il più forte, mentre Vernon Maxwell, storico avversario, ricorda quanto amasse sfidare MJ e come non fosse spaventato al confronto con lui perché, scrive Maxwell, “lui era il migliore, ma doveva provarlo ogni volta che ci affrontavamo.
” Non resta altro che fermarci davanti al televisore e rivivere queste grandi imprese, tra ricordi e emozioni, sperando che il grande basket, come tutti gli altri sport, possa tornare in diretta sui nostri schermi il prima possibile!
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