Di Alessandra Rutili – Redazione Verona Area1 Veneto Trentino/AA
«Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti […] Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po.» |
(Gianni Brera) |
Sono queste le misurate parole utilizzate dal più grande giornalista sportivo del XX secolo per presentarsi. Lui, Gianni Brera, nato in una famiglia umile, figlio di una società contadina, riuscirà attraverso il grande talento a modificare la lingua italiana. Ad arricchirla, attribuendo un significato diverso a termini nuovi o creando, ex novo, neologismi semantici. Una laurea in scienze politiche conseguita a Milano, una passione per la scrittura che lo accompagnerà per tutta la vita, regalandogli un posto nell’olimpo della letteratura. Avrebbe potuto trattare qualsiasi argomento, dalla filosofia alla politica, dalla cronaca alla cultura, ed invece, il destino volle che a soli 16 anni gli chiedessero di scrivere per il settimanale sportivo milanese “Lo schermo sportivo”. Dal 1935 scrisse prevalentemente di calcio, anche se tra gli sport preferiva la boxe ed il ciclismo. E lo face come nessun altro. La giacca scura e quelle bretelle larghe gli conferivano un’aria da intellettuale, lo sguardo severo e le sigarette che gli “ardevano tra le dita” sono rimaste nell’immaginario collettivo di tanti lettori che ancora oggi lo ricordano come un uomo coltissimo rimpiangendo i suoi articoli. In tanti iniziarono a leggerlo sulla “Gazzetta dello Sport”, sul “Giorno”, sul “Guerin Sportivo”, su “Repubblica” sul “Giornale”. Grazie a quel suo modo di essere unico oggi il nostro vocabolario possiede termini entrati nell’uso comune. Sono neologismi. Parole inventate, nuove, che prime non esistevano, ma che vanno a definire in maniera chiara e precisa un determinato concetto. Ecco allora gli omarini, quei giocatori dotati di ottima tecnica, tra tutti Rivera o il centrocampista o il libero. Prima di Brera nessun giornalista sportiva o tifoso conosceva tali parole. Ed ancora il catenaccio, espresso dal grande Nereo Rocco negli anni Settanta. Basta il suono e di colpo la mente lo associa ad una tipologia di gioco tipicamente italiana. Contropiede, incornata. Tutto merito di Brera. Come non citare poi gli epiteti. Aggettivi, storpiature, soprannomi che diventavano più famosi dei nomi stessi dei giocatori, ai quali li attribuiva. Deltaplano Zenga, Rombo di tuono Riva, Bonimba, Boninsegna, Piscinin Baresi Franco, Puliclone Pulici, Mazzosandro Mazzola. Solo alcuni. Erano talmente qualificanti che i giocatori speravano di ottenerne uno. Significava entrare a far parte di quel mondo di degni di nota. Significava entrare nella storia. Perché Brera ricercato e sapiente dosava con attenzione ogni battuta che consegnava ai posteri. Gianluca Vialli, figlio di una famiglia agiata divenne Stradivialli per sottolinearne l’eleganza ma anche l’estrazione sociale. Il milanista Gullit divenne Simba, forse per i capelli che ricordavano la criniera di un leone. Piper era invece Oriali. Con la sigaretta tra le dita Brera rifletteva e articolo dopo articolo creava. Quando commentò il lavoro di Arrigo Sacchi, giunto dall’Emilia nella grande Milano lo definì Righello. Coniò questo termine che conferisce immediatamente l’idea di ordine e precisione. Ciò che fece di fatto il Mister. Anche per Fabio Capello Brera attinse dal mondo della matematica, lui era l’Euclidea per come impostava il gioco e disponeva i giocatori. L’idolo di Napoli, Diego Armando Maradona, osannato dai partenopei venne definito Divino scorfano. Sembra un ossimoro, ma rende chiaro il contrasto tra il talento e la costituzione fisica dell’Argentino, che nonostante tutto incantò con il suo mancino milioni di tifosi. Lasciare traccia di se significa anche contribuire e migliorare la propria società. A Brera va il merito di aver nobilitato il giornalismo sportivo. Le pagine che scriveva sono ancora oggi analizzate e studiate come testi di letteratura. A lui, tutti noi, dobbiamo molto. Studio, curiosità e capacità di cogliere ciò che sta all’origine di tutto. Mai superficiale, pungente ed ironico Gianni Brera è stato e sarà fonte d’ispirazione e mentore per quanti apprezzano ed amano la lingua italiana.
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