L’HEYSEL QUARANT’ANNI DOPO
UNA MORALE PER IL CALCIO

Un libro poetico, scritto di getto e riproposto ora da un editore di nicchia
di Adalberto Scemma
“Belga di passaggio e provinciale di Parigi”: così amava definirsi, con ironia sotto traccia, Pol Vandromme. Lui era ben altro, accolito senza etichetta di quella letteratura buissonnière (qualcosa come clandestina, fuori copione) cui Antoine Blondin aveva dato un senso comune sdoganandola con un romanzo di culto (L’Europe buissonnière), scritto in un momento di consueta, traslucida capacità visionaria.

Il nome di Pol Vandromme è tornato imperiosamente d’attualità grazie a un editore di nicchia, Vydia, marchigiano di Macerata, che ha raccolto l’assist di Massimo Raffaeli (sue prefazione e traduzione) per uscire con un libro (“Le gradinate dell’Heysel- Una morale per il calcio”) scritto di getto e riproposto ora in occasione del quarantesimo della strage (29 maggio 1985). «È un libro poetico -dice Raffaeli- scritto da un appassionato, ed è una preghiera dei morti. Ho fatto una immensa fatica a tradurlo. È lì da dieci anni perché grandi editori, con cui pure collaboro, solo a sentir parlare dell’Heysel, hanno sempre detto di no inorriditi».

Sentite l’incipit, leggetelo in silenzio, ad alta voce o a voce sommessa, ma subito vi accorgerete, scandendo mentalmente le parole, di quanto intensa sia in Vandromme la partecipazione emotiva: «Il calcio è un racconto. La memoria me lo ha recitato ancor prima che avessi l’età della ragione. È una memoria d’infanzia. Bisogna crederci. Bisogna credermi. L’Heysel, un mercoledì sera, ci ha resi increduli. La mia dolce canzone rischia d’essere ascoltata come il salmo arcaico di una fede da uomo semplice. Oserò cantarla a bocca chiusa, tuttavia: la felicità per me è stata sulle gradinate degli stadi, un segreto da dividere, un ricordo da trasmettere. Al tempo che fu mio, e lo è rimasto, il calcio non veniva ancora da fuori, dal paese selvaggio. Il pallone rotolava sul prato, il sole brillava sulle sue capriole, si andava a lui come all’onda il nuotatore, saliva a volte verso il cielo come un aquilone. Una sfera magica, dei diavoletti intorno: una corsa che portava lontano, al di fuori di sé, verso un fondo di esultanza o di disperazione».
Capite bene quanto sia arduo stoppare a questo punto la lettura, perché Pol Vandromme, nella traduzione accorata di Raffaeli, vi trascina via come la corrente leggera di un fiume che non conosce gorghi. «I morti si contavano a decine, i feriti a centinaia. C’era ressa agli obitori e agli ospedali della città. Ma a quelli, nel loro conciliabolo, un solo pensiero passava per la testa: la partita si doveva comunque giocare? Sì, comunque! Come se nulla fosse stato, come se il massacro non avesse avuto luogo».
La strage dello stadio Heysel di Bruxelles ha cambiato per sempre la storia del calcio, segnandone una delle pagine più nere. In quelle immagini di morte e feroce insensatezza, riprese dalla tv e impresse nel ricordo in modo indelebile, abbiamo visto il gioco trasformarsi in dramma, l’evento sportivo in una farsa oscena. L’edizione originale de “Le gradinate dell’Heysel” (Editions de la Table Ronde) risale al 1992 ma con questa prima edizione italiana Massimo Raffaeli ha il pregio di restituirci l’unicità dello stile di Vandromme e la sua sorprendente qualità letteraria. Una voce critica autorevole, certo, ma il transfert simbiotico, in questo caso, è legato soprattutto all’emozione. (“Le gradinate dell’Heysel- Una morale per il calcio”, Vydia Edizioni d’arte, collana I Fauni, euro 15).